"تغدى وتهدى ولو كان عليك الدين وتعشى وتمشى ولو خطوتين"
"Pranza e riposa anche se devi pregare e cena e cammina anche se per due passi"
"Pranza e riposa anche se devi pregare e cena e cammina anche se per due passi"
Ful Mudammas, Egitto
فول مدمس
Questo piatto ha origini antichissime che si ipotizza risalgano addirittura al periodo Neolitico. La parola “mudammas” prende le sue origini dalla parola Copta “seppellito” ed è molto probabile che si riferisca al fatto che le fave siano sepolte nella pentola. Questo piatto viene descritto anche nel libro Talamud Yerushalmi, testimonianza del fatto che era molto usato non solo in Egitto (paese di origine), ma anche nel 4° Secolo D.C nell’area mediorientale.
Nel Medioevo, questo piatto divenne il simbolo della città del Cairo. Nel centro della città vi erano i Bagni della Principessa, che venivano riscaldati tutto il giorno con braci molto potenti che emanavano calore anche durante tutta la notte. Il legno scarseggiava, e i cittadini che abitavano nelle aree limitrofe approfittavano di questi fuochi potenti durante la notte per riscaldare degli enormi pentoloni che servivano a fare il ful mudammas. Il piatto al mattino veniva venduto come colazione ed è proprio per questo che in Egitto il piatto viene anche chiamato “Ful Hammam” (fave del bagno). Cuscus, Marocco
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Il Couscous è il piatto più popolare in Marocco e nel Nord Africa, ma diffuso in tutto il mondo. La storia ha elaborato diverse opinioni circa le sue origini. Alcuni ritengono che il couscous, come la pasta, sia stata creato in Cina, mentre altri sono sicuri della sua origine dall’Africa dell’est. Tuttavia, l’evidenza più palese sembra indicare il Nord Africa. Inoltre, proprio qui, delle scoperte archeologiche risalenti al nono secolo, avrebbe portato alla luce degli utensili da cucina per preparare il couscous.
Nell’undicesimo secolo, la conquista arabo-islamica ha contribuito alla diffusione del piatto in tutta la regione nordafricana. La crescita economica e lo sviluppo della produzione di grano ne hanno accelerato l’espansione. Quindi il couscous fu portato in Spagna, nella regione meridionale dell’Andalusia, e lungo il perimetro del Mediterraneo. In uno scritto del XVI secolo di Francois Revelais, si nota come in Provenza fosse diffuso e apprezzato il Coscoton a la Moresque. Il couscous giunse fino in Sud America, attraverso le colonie portoghesi emigrate dal Marocco. L’espansione del couscous è continuata durante il XX secolo, soprattutto a causa di ondate migratorie dal Nord Africa verso l’Europa, la Francia in particolare. Un recente sondaggio ha svelato come il couscous sia oggi il secondo piatto preferito dai transalpini.
Oggi il couscous è l’ambasciatore culinario del Nord Africa ed è un emblema dell’arte culinaria marocchina.
Nell’undicesimo secolo, la conquista arabo-islamica ha contribuito alla diffusione del piatto in tutta la regione nordafricana. La crescita economica e lo sviluppo della produzione di grano ne hanno accelerato l’espansione. Quindi il couscous fu portato in Spagna, nella regione meridionale dell’Andalusia, e lungo il perimetro del Mediterraneo. In uno scritto del XVI secolo di Francois Revelais, si nota come in Provenza fosse diffuso e apprezzato il Coscoton a la Moresque. Il couscous giunse fino in Sud America, attraverso le colonie portoghesi emigrate dal Marocco. L’espansione del couscous è continuata durante il XX secolo, soprattutto a causa di ondate migratorie dal Nord Africa verso l’Europa, la Francia in particolare. Un recente sondaggio ha svelato come il couscous sia oggi il secondo piatto preferito dai transalpini.
Oggi il couscous è l’ambasciatore culinario del Nord Africa ed è un emblema dell’arte culinaria marocchina.
La Harira, Popolo Berbero
الحريرة
L’Harira è una zuppa tradizionale della cucina berbera, in particolare marocchina, che i musulmani preparano in occasione del Ramadan: si tratta infatti di un piatto molto nutriente, arricchito con carne e legumi, che si mangia per rompere il digiuno. E’ praticamente come un intero pasto in una sola pentola. Ogni giorno, durante il mese del Ramadam, quando i musulmani digiunano dall'alba al tramonto, l'aroma di questa zuppa invade le strade e ogni casa dove si prepara, ognuno nella sua versione, per essere gustata all'ora del ftur, la rottura del digiuno, annunciata spettacolarmente in coro dai muezzin di tutti i minareti della città. È l'ora in cui la città si svuota, nessun'anima in giro, tutti si incontrano in famiglia intorno alla tavola riuniti dalla Harira, dopo una giornata di raccoglimento e pensieri che purificano l'anima dei musulmani. Ma è anche un regalo offerto agli sposi, il giorno dopo le nozze, in simbolo di un arrivederci e di augurio di felicità eterna.
Gli ebrei marocchini hanno adottato questo piatto e l’hanno portato con sè in giro per il mondo: l’harira figura spesso sulla tavola dello Shabbat e viene servita tipicamente anche a conclusione di un altro digiuno – prescritto dall’ebraismo stavolta – quello di Tisha B’Av, con il quale ricordiamo la distruzione del Tempio.
Ogni famiglia ha la sua ricetta per questo piatto: si può prepararlo con la carne o senza, aggiungere legumi in più oltre a quelli tradizionali – ceci e lenticchie – come ad esempio i fagioli o le fave, o ancora sostituire al riso una pasta simile ai capelli d’angelo, chiamata dudia.
Non c'è piatto che renda di più l'idea di conforto, calore, famiglia riunita e focolare che batte, che una zuppa fumante. Sia in una vecchia pentola su un fuoco a legna o in una zuppiera d'argento posta su una tavola imbandita, la zuppa è parte del patrimonio gastronomico di tutti i paesi e di tutte le genti.
Ma la vera Harira continua ad essere patrimonio gastronomico di Fès, la città imperiale che ha offerto al paese un repertorio di ricette degne della sua fama e dei suoi quattordici secoli di storia culinaria.
La Harira è dunque cibo per lo stomaco e per l'anima, sempre accompagnata da datteri, fichi secchi e biscotti al miele confezionati solo in quell'epoca.
Gli ebrei marocchini hanno adottato questo piatto e l’hanno portato con sè in giro per il mondo: l’harira figura spesso sulla tavola dello Shabbat e viene servita tipicamente anche a conclusione di un altro digiuno – prescritto dall’ebraismo stavolta – quello di Tisha B’Av, con il quale ricordiamo la distruzione del Tempio.
Ogni famiglia ha la sua ricetta per questo piatto: si può prepararlo con la carne o senza, aggiungere legumi in più oltre a quelli tradizionali – ceci e lenticchie – come ad esempio i fagioli o le fave, o ancora sostituire al riso una pasta simile ai capelli d’angelo, chiamata dudia.
Non c'è piatto che renda di più l'idea di conforto, calore, famiglia riunita e focolare che batte, che una zuppa fumante. Sia in una vecchia pentola su un fuoco a legna o in una zuppiera d'argento posta su una tavola imbandita, la zuppa è parte del patrimonio gastronomico di tutti i paesi e di tutte le genti.
Ma la vera Harira continua ad essere patrimonio gastronomico di Fès, la città imperiale che ha offerto al paese un repertorio di ricette degne della sua fama e dei suoi quattordici secoli di storia culinaria.
La Harira è dunque cibo per lo stomaco e per l'anima, sempre accompagnata da datteri, fichi secchi e biscotti al miele confezionati solo in quell'epoca.
Il pesce nella cucina araba: un intruso.
Nella cucina tradizionale araba il pesce è un ingrediente non utilizzato frequentemente. La carne infatti fa da padrona in quasi tutte le cucine del territorio, anche, spesso, nei paesi costieri come l'Arabia Saudita dove la carne ha un ruolo molto più importante. Spesso questa predilezione per la carne deriva anche dalla religione, dove ci sono molti riferimenti alla carne che si può o meno mangiare mentre poco spazio viene lasciato al pesce. In Nord Africa, la cucina di pesce si inserisce all'interno di piatti già tradizionali, rendendoli più innovativi o creativi come ad esempio con il cous-cous di pesce, il tajine di pesce e il pesce con tahina in Egitto. Diversa è invece la situazione in Medio Oriente soprattutto in Libano e in Siria, paesi che mantengono nella loro cucina influenze della colonizzazione francese e quindi dell'utilizzo del pesce in modo diverso dal metodo tradizionale prettamente nord-africano. Ad esempio, la Siria è un paese prettamente continentale, se non fosse per una piccola area a nord del Libano dove si trova la città di Latakia. Il pesce, per questo, è un ingrediente che non si trova molto nella cucina siriana a tal punto che nella stessa capitale sono pochi i ristoranti che includino piatti di pesce. A Latakia invece è tutta un'altra storia, dove infatti il pesce fa parte della dieta quotidiana e dove è nato il Sayadieh, che viene anche definito come "il pesce dei coraggiosi". Il Libano invece ci affacci sul mar Mediterraneo e partendo dalla stessa storia fenicia del paese, il pesce è uno dei piatti più utilizzati in cucina, come ad esempio le knofa di tonno. Il caso del Matafaya è invece un caso particolare poichè l'ingrediente principale è il salmone e non i pesci caratteristici della zona mediorientale.
Cumino
كمون
La parola "cumino" deriva dall'arabo "كمون" Kamūn. La spezia è originaria della Siria, dove il cumino cresce in terreni caldi e aridi. I semi di cumino sono stati rinvenuti in alcuni antichi siti archeologici siriani. La conoscenza del cumino, probabilmente, attraversò Turchia e Grecia, ancora prima della dominazione araba in Spagna nel quindicesimo secolo. Come tante altre parole di derivazione araba, però, la parola "cumino" fu acquisita nell'Europa Occidentale attraverso la via spagnola, piuttosto che quella greca. Qualcuno suggerisce che la parola derivi dal latino cuminum e dal greco κύμινον. Il termine greco stesso deriva dall'arabo. Forme di questa parola sono state ritrovate in diversi antichi linguaggi semitici, incluso kamūnu in Accadico. Si pensa che la fonte iniziale sia la parola sumerica gamun.
La paretimologia collega la parola con la città Persiana di Keman dove, secondo la leggenda, veniva prodotta la maggior parte del cumino nell'antica Persia. Per i persiani, l'espressione "portare cumino a Kerman", ha lo stesso significato che per i Greci aveva "Portare vasi a Samo" (fare cosa inutile, visto che Samo era un importantissimo centro di produzione ceramica). Kerman, chiamata nel luogo anche "Kermun", si sarebbe trasformata in "Kumun" e quindi "Cumin" nei linguaggi europei.
Il cumino è stato usato fin dall'antichità. I semi, ritrovati nel sito siriano di Tell ed-Der, sono stati fatti risalire al secondo millennio a.C. Sono stati riferiti anche diversi ritrovamenti, relativi all'età del Nuovo Regno dell'Antico Egitto.
Originariamente coltivato nell'Iran e nelle regioni mediterranee, il cumino è menzionato nella Bibbia, sia nell'Antico Testamento (Isaia 28:27) che nel Nuovo Testamento (Matteo 23:23). Era conosciuto anche nell'antica Grecia e nell'antica Roma. I greci tenevano il cumino a tavola, in un suo contenitore (più o meno come si usa con il pepe oggi), e questa usanza è mantenuta a oggi in Marocco.
Durante il Medioevo, la superstizione voleva che il cumino frenasse i polli, e gli amanti, dallo scappar via. Si credeva anche che gli sposi che avessero portato dei semi di cumino con sé durante la cerimonia nuziale, avrebbero avuto una vita felice. Il cumino è anche considerato d'aiuto nella cura del raffreddore, se aggiunto al latte caldo.
La paretimologia collega la parola con la città Persiana di Keman dove, secondo la leggenda, veniva prodotta la maggior parte del cumino nell'antica Persia. Per i persiani, l'espressione "portare cumino a Kerman", ha lo stesso significato che per i Greci aveva "Portare vasi a Samo" (fare cosa inutile, visto che Samo era un importantissimo centro di produzione ceramica). Kerman, chiamata nel luogo anche "Kermun", si sarebbe trasformata in "Kumun" e quindi "Cumin" nei linguaggi europei.
Il cumino è stato usato fin dall'antichità. I semi, ritrovati nel sito siriano di Tell ed-Der, sono stati fatti risalire al secondo millennio a.C. Sono stati riferiti anche diversi ritrovamenti, relativi all'età del Nuovo Regno dell'Antico Egitto.
Originariamente coltivato nell'Iran e nelle regioni mediterranee, il cumino è menzionato nella Bibbia, sia nell'Antico Testamento (Isaia 28:27) che nel Nuovo Testamento (Matteo 23:23). Era conosciuto anche nell'antica Grecia e nell'antica Roma. I greci tenevano il cumino a tavola, in un suo contenitore (più o meno come si usa con il pepe oggi), e questa usanza è mantenuta a oggi in Marocco.
Durante il Medioevo, la superstizione voleva che il cumino frenasse i polli, e gli amanti, dallo scappar via. Si credeva anche che gli sposi che avessero portato dei semi di cumino con sé durante la cerimonia nuziale, avrebbero avuto una vita felice. Il cumino è anche considerato d'aiuto nella cura del raffreddore, se aggiunto al latte caldo.
Falafel
فلافل
I falafel (in arabo: فلافل, falāfil; in ebraico: פלאפל, traslitt. falāfel) sono una pietanza mediorientale costituita da polpette fritte e speziate a base di legumi, tra cui i più utilizzati sono le fave, i ceci e i fagioli tritati con sommacco, cipolla, aglio, cumino e coriandolo. I falafel sostituivano la carne nei giorni del digiuno dei copti egiziani. Il termine è formato da tre parole che in copto significavano letteralmente 'con tanti fagioli'.
I falafel sono particolarmente diffusi in Palestina, Siria, Giordania, Egitto (in quest'ultimo paese sono noti principalmente nella versione a base di fave col nome di طعمية, traslitt. ta'amiyya) e Israele, dove la pietanza è apprezzata da tutte le comunità, quale che sia la loro religione. I palestinesi di Gerusalemme est e quelli del quartiere di Jaffa, a sud di Tel Aviv, servono e mangiano falafel come gli israeliani di origine ebraica, che li ammettono in quanto interamente vegetali e conformi ai precetti kosher che regolano l’assunzione e la preparazione degli alimenti nella religione ebraica.
I falafel si servono normalmente con hummus, con lo yogurt e/o con verdure (in genere pomodori e cetrioli, sia al naturale che sotto aceto), in un pane arabo soffice e basso (خبز عربي, traslitt. hubs 'arabi, saj, o marquq, o pita), che si arrotola facilmente oppure si apre come una tasca per contenere gli ingredienti.
Il grande successo dei falafel è dovuto alla loro economicità e praticità. In Medio Oriente sono reperibili ovunque: nelle bancarelle delle grandi città, nei villaggi, nelle stazioni di rifornimento nel deserto; in Europa sono stati introdotti dalle rosticcerie turche come alternativa vegetariana al kebab. In Italia si trovano nelle pizzerie gestite da egiziani, che li mettono anche sopra la pizza. L'ideale è mangiarli appena fatti: freddi o riscaldati perdono la loro fragranza.
I falafel sono particolarmente diffusi in Palestina, Siria, Giordania, Egitto (in quest'ultimo paese sono noti principalmente nella versione a base di fave col nome di طعمية, traslitt. ta'amiyya) e Israele, dove la pietanza è apprezzata da tutte le comunità, quale che sia la loro religione. I palestinesi di Gerusalemme est e quelli del quartiere di Jaffa, a sud di Tel Aviv, servono e mangiano falafel come gli israeliani di origine ebraica, che li ammettono in quanto interamente vegetali e conformi ai precetti kosher che regolano l’assunzione e la preparazione degli alimenti nella religione ebraica.
I falafel si servono normalmente con hummus, con lo yogurt e/o con verdure (in genere pomodori e cetrioli, sia al naturale che sotto aceto), in un pane arabo soffice e basso (خبز عربي, traslitt. hubs 'arabi, saj, o marquq, o pita), che si arrotola facilmente oppure si apre come una tasca per contenere gli ingredienti.
Il grande successo dei falafel è dovuto alla loro economicità e praticità. In Medio Oriente sono reperibili ovunque: nelle bancarelle delle grandi città, nei villaggi, nelle stazioni di rifornimento nel deserto; in Europa sono stati introdotti dalle rosticcerie turche come alternativa vegetariana al kebab. In Italia si trovano nelle pizzerie gestite da egiziani, che li mettono anche sopra la pizza. L'ideale è mangiarli appena fatti: freddi o riscaldati perdono la loro fragranza.